Aiutino? No, grazie! Quando l'assistenza al parto diventa inappropriata
“Allora come è andato il parto?”
“È stato un po’ complicato, per fortuna è intervenuto il mio ginecologo che con un paio di spinte sulla pancia ha aiutato il bimbo a nascere. Sicuramente da sola non ce l’avrei fatta, ero senza forze!”
“Come stai adesso che ti sei potuta riposare un po’?”
“Tutto ok, mi danno leggermente fastidio i punti. L’ostetrica ha dovuto farmi il taglietto, ha detto che la testolina era bella grossa e avrebbe distrutto tutto là sotto… Meglio così, ma spero che far qualche mese torni tutto come prima!”
“E il travaglio è davvero così lungo come lo dipingono?”
“Si, lasciamo perdere! Se penso che poi le contrazioni a un certo punto sono sparite… Per fortuna anche loro se ne sono accorti, e hanno deciso di rompermi il sacco e mettere una flebo, perché se non fossero tornate sarei sicuramente finita in sala operatoria.”
“Ci hai messo tanto a dilatarti?”
“L’ostetrica che mi ha visitata ha visto che dopo un po’ ero davvero stanca, fra le contrazioni e il fatto che non dormivo bene da qualche giorno. Quindi mi ha dato una mano per velocizzare il tutto. Ho provato un dolore atroce e ho visto le stelle, credo di aver anche urlato, ma almeno il collo si è dilatato in fretta e via ore inutili di travaglio.”
Le esperienze delle donne che hanno dato alla luce un bimbo parlano spesso di interventi realizzati dal personale medico e ostetrico volti ad aiutarle, a farle soffrire di meno, a risolvere situazioni che altrimenti avrebbero conseguenze negative. Ma quanti di questi interventi sono realmente giustificati da un’indicazione clinica? Quante volte le donne vengono realmente informate rispetto alle scelte assistenziali prese? E soprattutto, sono quest’ultime prive di conseguenze a breve e lungo termine sul benessere psicofisico della mamma e del bimbo?
Rispettare il parto
Per rispondere a questi quesiti non si può prescindere da alcuni presupposti.
Il travaglio e il parto naturalmente richiedono tempo e pazienza, sia da parte delle donne coinvolte in prima persona, che da parte degli operatori che vegliano sull’evento. La medicalizzazione del parto ha un senso in situazioni che deviano dalla fisiologia, e qualunque manovra o atto medico deve essere supportato da una precisa indicazione e attuato consensualmente alla persona assistita.
Il travaglio e il parto appartengono alla donna, alla coppia, al nascituro, e a nessun altro. L’operatore che fornisce un aiuto non richiesto e non giustificato sta aiutando solo se stesso.
L’assistenza ostetrica, e più in generale la medicina, si fondano su princìpi EBM (Evidence Based Medicine). Esistono dunque linee guide internazionali, costantemente aggiornate e validate da studi scientifici, che riportano specifiche indicazioni circa l’appropriatezza degli interventi assistenziali. Talvolta vengono messe in discussione pratiche che anche solo dieci anni prima erano ritenute valide ed essenziali, e gli operatori sono tenuti ad aggiornarsi e a mettere a loro volta in gioco se stessi e le loro conoscenze per venire incontro ai bisogni delle donne che assistono tutti i giorni.
Assistenza inappropriata
Purtroppo nell’assistenza al parto sono ancora diffuse (in alcuni contesti) modalità assistenziali inappropriate, che passano troppo spesso per normali interventi di routine, in virtù della prassi consolidata nel tempo e del naturale rapporto di fiducia e alleanza terapeutica che sussiste fra equipe medico-ostetrica e persona assistita.
Sarebbe invece auspicabile che da un lato i professionisti sanitari abbandonassero determinati modi operandi attraverso un costante aggiornamento delle proprie conoscenze e competenze cui sono tenuti ad attenersi, dall’altro che le donne fossero consapevoli di essere padrone dell’evento “nascita”, e potessero riconoscere quando l’aiuto fornito è necessario, e quando invece sfocia in un eccesso di medicalizzazione.
Secondo le linee guida EBM riconosciute a livello internazionale, le manovre di accelerazione del travaglio come lo scollamento delle membrane, l’amniorexi (ossia la rottura strumentale delle membrane amniocoriali tramite specifico “uncino”) o la somministrazione endovenosa di ossitocina non sono indicate di routine. La progressione del travaglio può essere favorita in modi molto meno invasivi, quali ad esempio l’assistenza one-to-one (ossia la garanzia che ogni donna venga assistita da un’ostetrica che si dedichi completamente a lei senza lasciarla sola), la presenza del partner o di una persona fidata, la libertà di movimento, la creazione di un microclima adatto in cui la donna e la coppia possano sentirsi protetti, a loro agio e in cui non venga violata la privacy che l’evento richiede. Tutte queste accortezze stimolano di per sé l’evoluzione positiva del travaglio, senza necessità di stimolazioni ulteriori.
Altre manovre come la dilatazione manuale del collo dell’utero (stimolata nel corso di una visita interna dall’ostetrica/medico) sono assolutamente obsolete, controindicate e pericolose. Non solo non aiutano la progressione del travaglio perché non ne rispettano i naturali tempi, ma possono dare luogo a mal posizioni del feto e danni al collo dell’utero stesso.
Anche l’episiotomia, ossia il famigerato “taglietto” sui muscoli del perineo, non è un intervento da praticare di routine al contrario di quanto successo in passato alle nostre mamme e forse alle nostre nonne. Il perineo durante il parto è molto sollecitato e talvolta può andare incontro a lacerazioni, ma laddove questo accade i tessuti tendono a cedere seguendo le loro naturali linee di forza. L’episiotomia è invece un taglio netto, e rispetto alle lacerazioni spontanee implica maggior tempo per rimarginarsi e ripristinare l’integrità del tessuto stesso. Ecco perché è preferibile una lacerazione spontanea di un taglio artificiale, senza contare che tali eventi sono prevenibili promuovendo l’assunzione al parto di posizioni diverse da quella litotomica, ossia la classica posizione supina sul lettino da parto.L’episiotomia è indicata solo in casi in cui sia necessario espletare il parto molto in fretta, dunque vi siano segno di sofferenza del bimbo, ma purtroppo vi è un grande abuso di questa pratica.
Un’altra manovra purtroppo molto utilizzata e riconosciuta anche socialmente nei racconti delle mamme è la pressione esercitata sulla pancia per favorire la nascita del bimbo, il cui nome tecnico è Manovra di Kristeller. Tale manovra non ha nessun beneficio ed è sconsigliata in ogni caso, tanto da essere vietata in alcuni paesi. Essa è inoltre potenzialmente dannosa, poiché la forte pressione esercitata su addome e torace materno possono andare a danneggiare tessuti, organi e ossa circostanti. Perché non aiutare i bimbi a nascere sfruttando la forza di gravità e dunque le posizioni verticali invece che sceglierne altre controproducenti come quella litotomica con conseguente necessità di sopperire alle difficoltà che comporta?
L’aiuto migliore
Naturalmente esistono realtà e punti nascita in cui il rispetto per la donna e i suoi tempi sono una costante, in cui la fisiologia della nascita viene promossa e protetta e in cui gli interventismi sono ridotti a casi ridotti e selezionati. Chi si occupa di assistenza alla nascita deve essere in grado di vegliare in sicurezza, senza interferire. Di proteggere da eventuali complicazioni, reagendo con prontezza e lucidità. Non di esserne la concausa.
La nascita è natura, istinto, è primordiale. La medicalizzazione di tale evento è frutto di un retaggio culturale dove chi assiste non è più solo un guardiano, ma controlla e guida, talvolta senza averne il permesso. Ci auspichiamo un’inversione di tendenza che in alcune realtà sta già prendendo piede, ma trova ostacoli in altre. Il cambiamento non può che partire da due fronti: dalla consapevolezza delle donne di essere padrone del proprio corpo e del proprio parto, e dall’operato dei professionisti sanitari, il cui ruolo è agire non solo secondo coscienza, ma secondo costante e implacabile aggiornamento. Ciò deve avvenire nel rispetto delle persone assistite e delle evidenze scientifiche, che sono chiare nell’affermare che la gravidanza, il parto e tutto ciò che ne deriva, siano eventi naturali, e come tali vanno trattati.
Il miglior “aiutino” che si possa dare ad una donna che sta affrontando un travaglio e un parto?Starle accanto, ma in penombra. Esserci, ma lasciare spazio. Parlarle, ma a bassa voce. Assisterla con rispetto, informarla e discutere con lei delle scelte da prendere. Il resto verrà da sé, perché le donne sanno partorire, e i bimbi sanno nascere, e noi non possiamo che essere silenziosi spettatori.